DAVID NEWS SPECIALE - LA CARICA DEI PRIMI DAVID


GIADA CALABRIA E LOREDANA RAFFI: «LA SICILIA DE “LA STRANEZZA” È FUORI DA OGNI STEREOTIPO» di Elisa Grando

La scenografa Calabria e l’arredatrice Raffi lavorano insieme da più di dieci anni e hanno vinto il David di Donatello per la Migliore scenografia, il primo per entrambe. Ecco com’è nata sullo schermo la Sicilia del film di Roberto Andò, filologica ma anche onirica, curiosamente avvolta nella nebbia


GIADA CALABRIA

«Dopo 25 anni di lavoro è stato un riconoscimento fondamentale, per me e per le persone che hanno lavorato con me»: è felice Giada Calabria, al primo David dopo due candidature, per Caos Calmo e Non essere cattivo, e una filmografia lunghissima. «Le mie scenografie», dice, «sono interdisciplinari: sul set chiedo se la scenografia è bella anche ai manovali. Non si può pensare di essere autoriali in un film: l’idea del progetto è comune anche con gli altri reparti». Pur venendo da una famiglia in cui il cinema non era contemplato tra i lavori sicuri sia Giada che la sorella, la montatrice Esmeralda Calabria a sua volta candidata al David 2023, hanno scelto la via dell’arte.

Qual è per lei il luogo iconico de La stranezza?
«Il teatro. Ho cercato in Sicilia questo teatrino che non trovavo, fino ad arrivare di nuovo a Roma, a un vecchio cinema a Castel Madama. Cercavo lo sguardo diretto di Pirandello, il suo spiare tra le stoffe, e quello era lo spazio perfetto, con il boccascena giusto. Da lì è davvero partita La stranezza. Ho ricreato quello che ho visto nei sopralluoghi, ricostruendo i palchetti e tutto il resto, con un lavoro sostanzioso sul colore per non renderlo troppo scenografico. Doveva sembrare polveroso e vissuto come il piccolo paese di Erice. L’ispirazione all’osservazione, al gioco, è nata quando ho visto a Palermo gli angeli di Giacomo Serpotta, scultore palermitano, putti appunto osservatori, un po’ beffardi e legati al teatro».

È una Sicilia lontana dagli stereotipi…
«La prima volta che ho visto Erice c’era la nebbia. Bene, mi ha detto anche Andò, giriamo la Sicilia fredda, stupenda perché nessuno la conosce. Erice è un piccolo paese intatto, c’è una Sicilia interna e bellissima che andava raccontata. È come se i protagonisti vivessero fuori dal mondo in una nuvola di nebbia».

C’è stato un film di svolta nella sua carriera?
«Non essere cattivo. Con Caligari abbiamo avuto un rapporto molto emotivo, è stato per tutti un punto zero. Quel film ci ha fatto emozionare nuovamente nei confronti del cinema. Da Claudio è partito un senso di libertà creativa: pensare che stava in piedi al ciglio della morte, e ha scritto tutte le inquadrature e tutto il montaggio, è commovente: come se nel suo finire ci avesse dato una spinta a fare meglio. Una cosa molto rara. Con La stranezza è successa una cosa simile: sembra difficile ma, quando si trova una chiave di lettura, diventa di una levità eccezionale. Tutti noi l’abbiamo percepito così, compresi Ficarra, Picone e Servillo: era un set di persone contente».

Subito dopo il David è ripartita per il Veneto, per cercare le location del nuovo film di Daniele Luchetti…
«Facciamo una vita sempre in viaggio. Ultimamente ho lavorato anche a Dieci minuti di Maria Sole Tognazzi e al primo film da regista di Margherita Buy. È più difficile dare un taglio interessante e un guizzo ai film contemporanei, piuttosto che a quelli in costume: per me ogni film dev’essere un po’ speciale».


LOREDANA RAFFI

«È una grandissima soddisfazione, non me l’aspettavo», dice Loredana Raffi, arredatrice, al suo primo David vinto già alla prima candidatura. Con Giada Calabria ha lavorato in molti film, da Gli indifferenti a Rapiniamo il Duce.

Cosa significa questo David vinto insieme a Giada Calabria?
«Sono contenta di questo obiettivo raggiunto insieme: tra noi c’è grande armonia, dopo tanti anni di lavoro insieme non abbiamo più bisogno di parlare molto. Andiamo avanti nel rispetto del gusto l’una dell’altra».

Come si è avvicinata al cinema?
«Ho fatto l’Accademia Belle Arti, dove Lorenzo Baraldi è venuto per vedere i bozzetti degli studenti. Mi ha portato nel suo studio, stava preparando un film e da lì ho iniziato. Ho lavorato anche con Luciano Ricceri e Maurizio Marchitelli. La mia maestra però è stata Laura Casalini, che mi ha insegnato l’amore per i dettagli».

Qual è stato il dettaglio di scenografia più difficile da realizzare o scovare sul set de La stranezza?
«Le sedie del Teatro Valle: per ambientare gli anni ’20 servivano originali Thonet, da fine Ottocento, di legno curvo. In quegli anni tutti i teatri principali di Roma avevano questa particolarità, le poltrone di legno non imbottite. Trovarle non è stato facile. Alla fine io e il mio fantastico reparto abbiamo trovato, sul sito di un fotografo amatoriale che si intrufola nei posti abbandonati per fare le foto, l’immagine di un teatro abbandonato a Priverno con queste sedie, che erano state comprate dall’Eliseo intenzionato a smaltirle. È stato merito della nostra caparbietà, ma anche della fortuna. Ne abbiamo quindi acquistate quasi 900 dal proprietario del teatro di Priverno, le abbiamo ristrutturate: così il Valle ha avuto le sue sedie originali».