CERCANDO L’EQUILIBRIO DI GENERE.
UN DIALOGO, UNA PROVOCAZIONE, ALCUNE PROPOSTE 
di Piera Detassis

Poche settimane fa ho incontrato sul palco di FuoriCinema a Milano Damiano D’Innocenzo che assieme al fratello Fabio firma uno dei film più premiati di questa convulsa stagione, Favolacce. Non c’è una sola parola di Damiano o di Fabio che non mi colpisca e faccia riflettere dall’epoca della polemica con il David sul concetto di “opera prima”, quando erano candidati con La terra dell’abbastanza. Poiché penso che un Presidente e un Consiglio direttivo in generale, ma dei David in particolare, debbano essere organismi all’ascolto, mobili e nel caso pronti a mutare, ho approfittato di quell’incontro per rilanciare una provocazione che mi era arrivata via mail e mi era sembrata importante. Secondo Damiano, che mi scriveva, era necessario, come succede nel caso degli interpreti, sdoppiare il genere e creare un David per la Regia Femminile. «Sarebbe», scriveva, «una grande novità a favore dell’equità (quanto sarebbe bello, tra una decina di anni, ampliare questa divisione anche per i ruoli tecnici come sceneggiatura, fotografia, costumi etc, ancora troppo sbilanciati verso gli uomini per permettere cinquine esclusivamente femminili di pari valore). Qui in Italia abbiamo come sai bene Alice Rohrwacher, Valeria Golino, Emma Dante, Susanna Nicchiarelli, Laura Bispuri, Valentina Pedicini, Valeria Bruni Tedeschi, Paola Randi, Wilma Labate, Cristina Comencini, Francesca Archibugi, Michela Occhipinti, Ginevra Elkann, Laura Luchetti, Costanza Quatriglio e tante altre. Ora si aggiungono Michela Cescon, Jasmine Trinca e ancora, ancora, ancora (Viva Dio). Eppure, comparate a registi uomini (molti di più e generalmente anche immeritatamente più riconosciuti), rischiano di passare inosservate nei loro splendidi film: un grosso e ingiusto peccato, dato che i premi servono eccome, dando connotati chiari in un mestiere - il nostro - ancora fortemente impreciso e senza coordinate stabili. Secondo le ultime statistiche, solo il 20 per cento dei film prodotti hanno una regia femminile. È un numero che deve assolutamente crescere e riconoscere con dei premi il loro duro lavoro potrebbe contribuire a un aumento drastico». E conclude: «Io ho questo maledetto sogno di un cinema più femminile, più equo».

Gli ho risposto subito che la proposta sarebbe stata presa in modo controverso, ma molto incuriosita ho rilanciato, così su quel palco di FuoriCinema, presente anche Claudio Giovannesi, ci siamo confrontati su come lavorare per un David (e un cinema) ancora più inclusivi.

Forse quello di Damiano, da me accolto come un bel segnale generazionale, suonerà come un suggerimento un po’ estremo, contrario alla convinzione che noi donne ci si debba battere nella stessa categoria degli uomini, senza quote rosa. Forse provocherà rimbalzi non sempre positivi, malumore e del resto ne rideva anche lui, consapevole: «Mi hanno detto tutti che sarebbe stato preso all’opposto delle mie intenzioni». Ai miei occhi tuttavia apre un dibattito reale, importante, soprattutto non ipocrita.

Perché sì, noi donne siamo pronte a batterci nello stesso campo degli uomini, ma l’accesso a quel campo dev’esser garantito ed equo fin dall’inizio. Dateci pari opportunità e noi faremo da sole, accettando le regole. Ma fino ad allora, fino a quando produttori, distributori, spettatori e politica del cinema non saranno cambiati, val bene una proposta.

Per questo è importante che ANICA abbia formalizzato alla DGCA la proposta di modificare il decreto sui contributi automatici (DM 31 luglio 2017 n. 342, attuativo dell’art. 23 legge Franceschini) introducendo una seconda premialità di genere, oltre a quella relativa agli autori. Nello specifico, si propone di introdurre all’art. 6 comma 3 del decreto oggetto di revisione che riguarda premialità (economiche) legate ai risultati culturali e artistici delle opere, un comma che preveda l’assegnazione di punteggio a un’opera cinematografica per la cui realizzazione siano state coinvolte in misura maggioritaria professionalità di genere femminile con il ruolo di capo reparto: Dop e/o operatore di macchina; Tecnica del suono; Organizzatrice generale e/o direttore di produzione; Scenografa; Costumista; Montatrice; Montatrice del suono; Producer e/o supervisor VFX (effetti speciali). Già lo chiamano “Lodo Prestieri”, dal cognome di Viola, la produttrice che l’ha suggerito e che più si è battuta. Speriamo la Direzione Generale Cinema ascolti. Intanto noi gliene siamo grate. Perché non c’è futuro senza questa rivoluzione.