VENEZIA 81, ECCO L’ITALIA IN CORSA PER IL LEONE D’ORO: I PRODUTTORI RACCONTANO IN ANTEPRIMA I 5 FILM ITALIANI IN CONCORSO
Testi raccolti da Elisa Grando
I film di autori italiani in gara per il Leone d'Oro a Venezia esprimono la rinnovata varietà di sguardi e temi del nostro cinema: a raccontare in esclusiva a David News com’è nata l’avventura che li ha portati al Lido sono proprio i produttori che hanno puntato su di loro. Il primo ad essere presentato al pubblico veneziano sarà Campo di battaglia di Gianni Amelio, il 31 agosto, seguito da Vermiglio di Maura Delpero (2 settembre), Queer di Luca Guadagnino (3 settembre), Diva futura di Giulia Louise Steigerwalt (4 settembre) e Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (5 settembre)
GLI AUTORI ITALIANI IN CONCORSO A VENEZIA 81
CAMPO DI BATTAGLIA di Gianni Amelio con Alessandro Borghi, Gabriel Montesi, Federica Rosellini
Raccontato da Simone Gattoni (Kavac Film) e Paolo Del Brocco (Rai Cinema)
Campo di battaglia nasce in una pausa pranzo durante un giro di sopralluoghi, con un contratto scritto su un tovagliolo. Alle radici del progetto c’è lo speciale connubio professionale e di amicizia di Gianni Amelio con Marco Bellocchio e Simone Gattoni, produttori con Kavac Film, insieme a IBC Movie, One Art e Rai Cinema. «Eravamo a Castell’Arquato a fare i sopralluoghi per Il signore delle formiche», racconta Gattoni. «In pausa pranzo dissi a Gianni che sognavo di fare un film su una delle pagine epiche più importanti della storia d’Italia, la disfatta di Caporetto. Lui mi rispose: ci sto. Su un tovagliolo scrivemmo che ci impegnavamo a realizzarlo». Il soggetto di Amelio, dice Gattoni, «era interessante perché non metteva al centro la battaglia di Caporetto, ma le sue conseguenze. Il film si apre con la ritirata di soldati e poi entra nella vicenda, un duello nascosto tra due amici medici, uno che fa di tutto per rimandare i soldati a combattere dopo l’umiliazione della sconfitta, e l’altro che fa di tutto per salvare loro la vita. L’innesco poi è l’arrivo della febbre spagnola. La sceneggiatura è stata scritta dopo la pandemia e prima della guerra in Ucraina: c’è una grande presa sull’attualità». Gianni Amelio stesso dice che Campo di battaglia è molto diverso dai suoi film precedenti a partire dalla durata contenuta, circa 1h e 40 minuti, ma anche nello stile. «Gianni ha fatto un grande lavoro di studio per restituire gli stili delle riprese di guerra dell’epoca, con molta macchina a mano, evitando la steadicam e i carrelli», spiega Gattoni. «Ha voluto ridare la varietà linguistica che c’era nell’esercito italiano allora: c’è stato un lavoro molto preciso sui dialetti. Borghi, Montesi e Rosellini hanno dato tutti e tre qualcosa di molto diverso rispetto al loro percorso e abbiamo girato nei luoghi veri, tra il Friuli e il Trentino», racconta Gattoni. Lo sforzo produttivo è stato ingente: «Il film doveva iniziare le riprese a fine agosto per evitare la brutta stagione, invece abbiamo iniziato a metà ottobre e la troupe, in tre forti trentini diversi a 2500 metri, ha girato anche con due metri di neve. È stata un’avventura faticosa ma bellissima»
«Con Gianni Amelio percorriamo da molti anni una strada comune, siamo stati produttivamente al suo fianco in ogni sua opera e per noi il suo cinema costituisce un patrimonio culturale fondamentale per il nostro Paese», dice Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema. «Quando Amelio ci ha presentato questo progetto, abbiamo capito subito la sua forte attualità: non era un film di guerra, ma un film sulla guerra, capace di parlarne da un’angolazione originale per indicarci la brutalità di ogni conflitto. Il campo di battaglia è una zona ben delineata, al cui interno Amelio fa muovere i protagonisti, tratteggiandoli in tutta la loro umanità, con i loro limiti e paure, in una storia che porta allo stremo la follia che governa ogni guerra. E questa ci sembra realmente una riflessione molto attuale».
Vermiglio è il film che, nelle parole del direttore della Mostra Alberto Barbera, riprende una lezione che sembrava dimenticata, quella di Ermanno Olmi. Sebbene sia tutto ambientato in un paesino delle montagne italiane, nasce già come un film internazionale: una coproduzione trilaterale tra Italia (CineDora Srl e Rai Cinema), Francia (Charades Productions) e Belgio (Versus Production). Francesca Andreoli di CineDora Srl ha sempre creduto in Maura Delpero, che conosce da anni: «Già dagli esordi, Maura ha dimostrato di saper padroneggiare con grazia e perizia la tecnica cinematografica e di avere un’innata sensibilità nel raccontare storie originali e profonde. Partendo dai documentari, è approdata alla finzione nel 2019 con Maternal, che ha ricevuto quattro riconoscimenti al 72º Locarno Film Festival. Era dunque naturale e un privilegio, come produttrice, aderire con entusiasmo a questo suo nuovo progetto». Conferma Paolo Del Brocco, AD di Rai Cinema: «Nelle nostre linee editoriali, allevare e seguire le nuove generazioni di registi resta una delle principali mission che ci siamo dati. E Maura Delpero, alla sua seconda opera, sta tracciando un percorso artistico molto interessante che ci auguriamo possa condurla ad affermarsi tra gli autori di domani». Vermiglio, dice Andreoli, l’ha subito colpita «per l’originalità della sua angolazione: raccontare la guerra dal punto di vista di chi ne è rimasto fuori. Un film di guerra senza fucili né bombe, in cui viene sparato un solo colpo e, per un paradossale scherzo del destino, ciò avviene quando la guerra è ormai finita. Il film si collega a grandi affreschi cinematografici come L’albero degli zoccoli, ma lo fa attraverso occhi femminili e traendo ispirazione da una ricca collezione di immagini personali, il tesoro di un’intera famiglia e di un’intera comunità». Anche Rai Cinema, spiega Del Brocco, è stata colpita dal sapore corale di Vermiglio: «Il senso di appartenenza a un luogo e a un tempo, la famiglia, con tutte le sue sfide, la maternità, tema che costituisce un motore creativo per Maura Delpero fin dal suo esordio, la sorellanza e l’insegnamento. Sono tutte tematiche centrali in questa bellissima storia che parla a tutti».
Cercare partner anche fuori dai confini nazionali è stato naturale perché, spiega Andreoli, «il film racconta un’epoca che sembra molto distante dalla nostra, ma i suoi sentimenti sono senza tempo. La partecipazione di altri due Paesi europei ci è sembrata una scelta organica per un film che narra un evento che ha tragicamente accomunato le diverse nazioni del nostro continente». La produzione, con il suo minuzioso lavoro di ricostruzione in quattro diverse stagioni, è stata complessa: «È stato necessario un lungo e accurato studio della storia, degli usi e dei costumi e del dialetto locale. Questo è confluito in una preparazione attenta di costumi e scenografia, di ricerca location, di costruzioni e adattamenti. Il casting è durato più di un anno; i ruoli dei minori, tutti trovati sul territorio e alla loro prima esperienza, costituiscono l’ossatura della famiglia e quindi del film. Prepararli alla recitazione è stato un momento particolarmente stimolante, in cui il talento di Maura è stato accompagnato da una brava attrice, Alessia Barela, che ha lavorato come acting coach. Per poter riprendere le quattro stagioni che scandiscono la temporalità della sceneggiatura abbiamo deciso di girare in due parti, posticipando il più possibile la seconda parte sperando che nevicasse in abbondanza. È stata un’esperienza profondamente emozionante, in cui abbiamo vissuto i luoghi e la memoria, guidati dai ricordi di Maura e dal suo sguardo attento e commosso».
Città del Messico del 1950 ricostruita a Cinecittà, un libro leggendario e maledetto rimasto inedito per quarant’anni, e Daniel Craig in un ruolo diverso da come l’abbiamo mai visto: Queer, tratto dal romanzo di William S. Burroughs, è stato per decenni il film nel cassetto di Luca Guadagnino. Oggi arriva a Venezia prodotto da Fremantle, The Apartment, una società del gruppo Fremantle e Frenesy Film Company, e da Fremantle North America, in collaborazione con Cinecittà Spa e Frame by Frame. «Più che sognare di fare Queer», specifica Luca Guadagnino, «negli anni riflettevo sulle strategie per portarlo a compimento. Tra queste, una non indifferente è stata pensare con i miei partner a come tradurre l’immaginario di Burroughs nella realtà di Cinecittà». Sulla scelta dell’attore nei panni del cinquantenne Lee, che si innamora del giovane Allerton, non ha mai avuto dubbi: «Daniel è Lee da sempre per me». A convincere Fremantle a sposare il progetto, dice Andrea Scrosati, Group Chief Operating Officer, CEO Continental Europe di Fremantle, è stato «in primo luogo il talento di Luca Guadagnino. Ci sono pochi, pochissimi registi che sarebbero stati capaci di portare sullo schermo un libro di William S. Burroughs, e Luca è uno di questi. La sua visione su come realizzarlo mi ha subito convinto, convinzione confermata da ogni passaggio durante la produzione. E il film è la conferma che questo talento e questa visione hanno realizzato qualcosa di straordinario». Cruciale, per una produzione e un cast così internazionali, è stato trovare casa a Cinecittà: «È la dimostrazione che, grazie alle straordinarie professionalità che ci sono nel nostro Paese, qui si possono realizzare anche progetti di questo livello, basati su IP internazionali, con un cast internazionale, una produzione internazionale. Non nascondo che è stata una scommessa; da italiano ritengo che valesse la pena farla, considerando che questo film ha impiegato migliaia di lavoratori del nostro Paese, infrastrutture e fornitori italiani. Spero che non si tratti di una scommessa isolata e che ve ne siano molte altre nonostante le complessità del mercato».
«Siamo sempre alla ricerca di nuovi orizzonti, sinceri ma anche provocatori. In Diva Futura ho visto questo: un nuovo sguardo su un pezzo di storia e del costume italiano, sul mondo di Riccardo Schicchi e delle sue “dive”, raccontato però in una dimensione intima ed emotiva, ma anche antropologica». Così Matteo Rovere descrive perché Groenlandia ha subito creduto nel film firmato da Giulia Louise Steigerwalt che ripercorre l’ascesa dell’industria pornografica nell’Italia degli anni ’80 e ’90, affidando a Pietro Castellitto il ruolo di Schicchi, a Denise Capezza quello di Moana Pozzi, mentre Tesa Litvan è Eva Henger e Lidija Kordić interpreta Cicciolina. «È il racconto di come il sogno di un gruppo rivoluzionario di persone abbia deciso, alla fine degli anni ’70, di cambiare e stravolgere la cultura e il costume italiano, generando però una grande contraddizione che porterà alla perdita del controllo sull’industria della pornografia e alla creazione di un immaginario distorto della sessualità e del femminile, in cui la mercificazione del corpo e la violenza hanno preso il sopravvento».
Giulia Louise Steigerwalt, sottolinea Paolo Del Brocco, «ha rivelato da subito uno sguardo attento alle storie e ai personaggi e una dote particolare nel tratteggiarli. Le stesse caratteristiche che abbiamo ritrovato in questo nuovo film, in cui racconta quando in Italia si andava diffondendo un nuovo fenomeno di massa, e il sogno di rivoluzionare il mondo dell’erotismo, vissuto fino a quel momento solo con tabù e censure. Una storia particolarmente interessante anche perché raccontata con lo sguardo di una donna».
Fondamentale, spiega Rovere, è stato il lavoro sul casting: «Abbiamo iniziato a costruire un moodboard di volti, corpi, notizie, mode, film, canzoni, drammi, successi, spot, dagli anni ‘60 al 2010. Immagini che ci hanno raccontato cambiamenti di costume, estetici e culturali. Per Riccardo Schicchi cercavamo una sorta di folletto, un interprete che raccontasse con istinto una follia fanciullesca, una ingenua scaltrezza e Pietro Castellitto era perfetto per calzare queste caratteristiche. Su Moana Pozzi, Eva Henger e Ilona Staller la ricerca è stata imponente, abbiamo provinato attrici sia in Italia che in Europa. Oltre ad una corrispondenza estetica, cercavamo di far coincidere complessi livelli di interpretazione, evitando la pura e semplice imitazione, ma andando a cercare espressioni di profonde sfumature emotive. Capezza, Litvan e Kordić ci portano con grande precisione e bravura proprio questo insieme di elementi. Nel film entrano ed escono tantissimi personaggi, abbiamo pensato quindi ad un mondo multiforme e variopinto, ogni ruolo anche il più piccolo è stato immaginato come fosse parte fondamentale di un colorato puzzle. Bravissimi interpreti come Davide Iachini, Alfonso Postiglione e molti altri ci hanno dato modo di completarlo. Barbara Ronchi meriterebbe un capitolo a parte, con la sua professionalità, umanità e dolcezza poteva essere solo lei la nostra Debora».
Quando si racconta una storia ambientata in un ampio arco temporale, aggiunge Rovere, le sfide produttive sono tante e coinvolgono in prima persona tutti i reparti tecnici e artistici: «Abbiamo lavorato con una grande squadra composta da eccellenze, straordinari capi reparto, dalla scenografa Cristina Del Zotto, al costumista Andrea Cavalletto, la make-up designer Alessandra Vita, la hair designer Donatella Borghesi, la prosthetic designer Valentina Visintin, il direttore della fotografia Vladan Radovic, la casting director Sara Casani, il montatore Gianni Vezzosi. Tutti hanno contribuito con la loro professionalità, le loro idee, creatività e il loro sguardo alla ricostruzione del mondo di Diva Futura».
Diva Futura segna la prima collaborazione di Piper Film con Groenlandia: «Questo film contiene in sé i semi per poter attrarre diverse categorie di pubblico», dice Luisa Borella, COO di Piper Film. «La qualità produttiva e artistica che gli hanno permesso di essere in concorso alla Mostra parleranno al pubblico più esigente, mentre la tematica così popolare e controversa e la voglia di scoprire personaggi iconici come Cicciolina, Moana e Eva Henger stimoleranno la fantasia del pubblico più generalista. Lo spettatore uscirà però dalla sala affascinato dalla visione e dalla umanità di Riccardo Schicchi, grazie alla straordinaria interpretazione di Pietro Castellitto. Pietro Castellitto e Barbara Ronchi sono gli altri due driver fondamentali per il successo di questo film». Diva Futura guarda anche al pubblico internazionale: «Cicciolina e Moana hanno avuto notorietà anche al di fuori del nostro paese. Ma è lo sguardo originale di una giovane regista donna sul fenomeno del porno e l’approccio moderno e femminile a questo tema che cattureranno l’interesse dei distributori esteri»
Quando è nata l’idea di fare un film su Matteo Messina Denaro la cattura non era ancora nei radar», racconta Nicola Giuliano parlando di Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, prodotto da Indigo Film con Rai Cinema e Les Films du Losange, che rilegge la latitanza dell’ultima primula rossa della mafia italiana. «Abbiamo cominciato a girare un mese e mezzo dopo la sua cattura, ma la storia comunque raccontava un personaggio di molti anni prima, perché è ambientata nei primi Duemila: il fatto di averne visto il volto non ha cambiato molto le cose. Anche perché non è trapelata nessuna sua dichiarazione. Ci siamo basati invece sui pizzini già pubblicati, con un grande lavoro di rielaborazione». Iddu mette per la prima volta insieme Elio Germano e Toni Servillo: «Per il film è un aspetto di forte appeal, ma anche il resto del cast è straordinario», commenta il produttore. E poi c’è lo stile peculiare dei registi, capace di rileggere in una nuova chiave la storia, come sottolinea Paolo Del Brocco, AD di Rai Cinema: «Grassadonia e Piazza hanno dimostrato già dai precedenti lavori, Salvo e Sicilian Ghost Story, di sapersi muovere tra generi cinematografici diversi, con uno sguardo sempre originale. Con Iddu cambiano ancora una volta forma di racconto, per trattare di nuovo il tema della mafia, posando stavolta la lente su Matteo Messina Denaro nei suoi anni di latitanza. La loro è un’opera che prende la realtà come punto di partenza e si muove attraverso la fantasia, il dramma farsesco, la commedia nera, per offrire, a chi la guarda, molti spunti di riflessione su alcune delle conseguenze antropologiche e sociali del fenomeno mafioso. Il loro si conferma ancora una volta come uno sguardo eccentrico nel racconto degli affari di mafia, lontano da ogni tipo di stereotipo». Del resto, «La realtà è un punto di partenza, non una destinazione», specificano le note di regia. «Si potrebbe dire la stessa cosa de Il divo di Sorrentino, che racconta un personaggio realmente esistito e iscritto nella cronaca in modo che il realismo venga solo lambito. È anche una costante del modo di fare cinema di Grassadonia e Piazza. Però Iddu ha anche un’altra strada, quella della commedia molto nera, perché punta a mettere in scena l’aspetto grottesco e tragicamente ridicolo del fenomeno mafioso