SPECIALE VENEZIA 80


VENEZIA 80, L’ITALIA IN CORSA PER IL LEONE D’ORO: LA PAROLA AI PRODUTTORI DEI 6 FILM DI AUTORI ITALIANI IN CONCORSO Testi raccolti da Elisa Grando

Storie che riaffermano i valori dell'umanità contro le leggi della guerra e le imposizioni spietate dello Stato, ritratti di una Roma inaspettata e decadente, fili che annodano il passato con l'attualità più stringente del presente: è questo il cuore pulsante dei sei film degli autori italiani in gara per il Leone d'Oro a Venezia. Il primo a mostrarsi al Lido, il 30 agosto, è il film d'apertura Comandante di Edoardo De Angelis, seguito da Finalmente l'alba di Saverio Costanzo (1 settembre), Adagio di Stefano Sollima (2 settembre), Enea di Pietro Castellitto (5 settembre), Io capitano di Matteo Garrone (6 settembre), Lubo di Giorgio Diritti (7 settembre): ecco tutte le prime anticipazioni sui film nelle parole dei produttori che hanno puntato su di loro


GLI AUTORI ITALIANI IN CONCORSO A VENEZIA 80
ADAGIO di Stefano Sollima  Raccontato da Lorenzo Mieli (The Apartment Production)


Adagio è l’ideale conclusione della trilogia romana di Stefano Sollima iniziata con Romanzo criminale e Suburra. Stavolta, insieme a Pierfrancesco Favino, Toni Servillo e Valerio Mastandrea, ci immerge in una capitale distopica e tormentata, dove tre vecchie leggende del crimine cercano di salvare un sedicenne da una vicenda troppo losca. Il film è prodotto da Lorenzo Mieli per The Apartment e Stefano Sollima per AlterEgo, con Vision Distribution. «Con Sollima sono tanti anni che cercavamo un progetto da fare insieme», dice Mieli. «Poi, un’estate fa (come cantava Franco Califano!), mi ha proposto di produrre questo film e ho immediatamente accettato». Sul costo totale del progetto non si sbilancia: «Posso dire che è stato il giusto budget per un film con questa ambizione».


Il cinema di Sollima ha posato molte volte gli occhi sulla Capitale. Con Adagio torna a raccontarla dopo la lunga esperienza a Hollywood per dirigere Soldado, sequel di Sicario di Denis Villeneuve, e Senza rimorso, tratto da Tom Clancy. «Adagio è un film su una Roma “metropolitana” decadente e nascosta. Che magari conosci ma alle volte non noti», anticipa Mieli. «Sobborghi, tangenziali, cavalcavia, stazioni di treni e metropolitane. Luoghi di passaggio, dove ogni giorno, da sempre, avviene quel contatto tra denaro, potere e criminalità, tipico della Capitale».
Nel cast compaiono anche Adriano Giannini, Gianmarco Franchini, Francesco Di Leva, Lorenzo Adorni, Silvia Salvatori: «Stefano ha scelto tra i più grandi attori Italiani, per riuscire a dare vita a personaggi pensati come allo stesso tempo decadenti e leggendari».




COMANDANTE di Edoardo De Angelis Raccontato dai produttori Nicola Giuliano (Indigo Film), Pierpaolo Verga (O’Groove), Attilio De Razza (Tramp LTD) e Paolo Del Brocco (Rai Cinema)


Il sommergibile Cappellini della Regia Marina Italia ricostruito in scala 1:1, con uno scafo di 73 metri simile all’originale, una minuziosa riproduzione degli interni, tre battaglie navali: girare Comandante di Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino nella parte di Salvatore Todaro che davvero comandò il Cappellini nel 1940, è stata una sfida colossale e un assoluto lavoro di squadra, a partire dalla sinergia produttiva. Il budget complessivo è di circa 15 milioni di euro. «Non saremmo mai riusciti a realizzare questo film senza il contributo ed il talento dei produttori che hanno lavorato a questo progetto», dice Pierpaolo Verga di O' Groove. «Alcuni di loro sono colleghi ed amici con cui lavoriamo da anni, come la Tramp, con altri invece è la prima collaborazione, come con la Wise e la VGroove, ed è anche la prima volta che collaboriamo con la Indigo: è stato un onore poter lavorare con la società che ha prodotto alcuni dei miei film preferiti. La collaborazione con la Beside è nata all’inizio dello sviluppo, quando era stato scritto solo il soggetto del film. Vista la storia, il Belgio era un co-produttore naturale: i membri della troupe e del cast belga hanno dimostrato una professionalità ed un talento veramente rari».


Indigo Film è entrata con entusiasmo nel progetto: «Ho seguito i lavori di Edoardo De Angelis da quando era ancora studente del CSC», dice Nicola Giuliano. «Quando Verga ci ha proposto questo progetto così bello e sfidante abbiamo subito accettato. La Seconda guerra mondiale è un sottogenere dei “film di guerra”, e quelli ambientati in un sottomarino sono un ulteriore sottogenere. Il cinema italiano sta lentamente riscoprendo la necessità di frequentare il genere, perché la forza tematica di un film viene enfatizzata quando inserita in un contesto di genere. Nonostante e grazie alla sua ambientazione, questo film aveva il potenziale di parlare di qualcosa di molto attuale. Ci è sembrata una sfida rischiosa ma meravigliosa». 


La sinergia produttiva di Comandante nasce diversi anni fa, subito dopo Il vizio della speranza, racconta Attilio De Razza di Tramp LDT: «Quando mi hanno richiamato dopo la pandemia c’era in campo anche Nicola Giuliano. Per me è stato un onore entrare in questo progetto. Credo di aver dato un buon contributo alla storia di Edoardo, con Perez, Indivisibili e Il vizio della speranza: credo moltissimo nelle sue qualità, non potevo mancare nel suo progetto più importante». Ad attirare Rai Cinema è stato anche il valore etico del film: «Comandante racconta un momento emblematico di rispetto tra nemici che ci aiuta a ragionare sulla definizione della nostra identità nazionale e che contribuisce a mantenere viva nei più giovani la conoscenza della nostra Storia», afferma Paolo Del Brocco. «La vicenda mette in evidenza l'importanza di saper conservare sempre vivo il senso di umanità e fratellanza tra uomini, anche in tempo di guerra».

L’elemento più complesso della produzione, secondo De Razza, «è stato ed è contenere i costi, non avere molti margini di manovra. È stata un’operazione importante, tre produttori si sono impegnati ad investire tanto in un grande progetto, speriamo di aver avuto ragione». Per Giuliano il passaggio critico è stato invece «dare il via alla costruzione del sottomarino. Un’impresa titanica sia dal punto di vista sia tecnico che finanziario. Il via significava iniziare il film senza possibilità di tornare indietro, assumendosi un rischio assolutamente folle. Lo abbiamo fatto, quel rischio è ancora lì a guardarci negli occhi, ma la soddisfazione di aver realizzato un film così ci permette di sostenere lo sguardo con orgoglio e senza paura».


Dal punto di vista produttivo il film è diviso in due: c’è la parte subacquea e quella in emersione. Spiega Verga: «Normalmente i film “di sottomarini” si limitano a realizzare la parte in immersione con la ricostruzione fedele dell’interno del sottomarino: in questo lo scenografo Carmine Guarino e la sua squadra hanno fatto un lavoro sublime. C’è una ricchezza di dettagli che rendono giustizia ai sommergibili italiani, di gran lunga più belli ed eleganti dei più noti u-boat tedeschi. In più il nostro film ha però una lunga parte in emersione, circa il 40%, con ben tre battaglie navali. La sfida qui era ancora più grande. La ricostruzione in scala 1:1 del sommergibile è stato un lavoro lungo ed appassionante. Anche qui la squadra di scenografia ha fatto un lavoro straordinario a partire dalla ricerca storica fino alla costruzione di questo gigantesco battello, complesso sia nella sua realizzazione che nella gestione del suo galleggiamento. Tutto realizzato nella massima sicurezza e rispettando le non semplici norme navali».


«Non potendo costruire un vero e proprio natante», prosegue Verga, «l’intuizione felice è stata quella di considerare il simulacro un oggetto da trasportare su piattaforma. Dunque il nostro Cappellini è completamente vuoto e poggia su dei pontoni che sono legalmente autorizzati a trasportare merce e persone, nel nostro caso un oggetto scenografico dalle fattezze di un sommergibile lungo 73 metri, la troupe ed in nostri attori. Buona parte delle riprese è stata realizzata nel porto militare di Taranto, diventato in quei giorni un teatro di posa a cielo aperto che nulla ha da invidiare alle piscine di Malta. Tutti i fondali sono stati sostituiti con un oceano realizzato in CGI. Altra voce importante del budget è infatti dedicata agli effetti digitali che hanno consentito di porre il nostro sommergibile all’interno di un mondo virtuale senza però l’uso del chroma key. Questo grazie ad un lungo e dettagliato lavoro di preparazione delle riprese e ad un sistema di tracking estremamente efficiente».




ENEA di Pietro Castellitto Raccontato da Lorenzo Mieli (The Apartment Pictures) e Luca Guadagnino (Frenesy Film Company)



Il primo a credere nel progetto di Enea, l’opera seconda di Pietro Castellitto, è stato Luca Guadagnino. Insieme al regista ha portato la sceneggiatura a Lorenzo Mieli e hanno deciso di unire le forze per realizzarlo. «Produco film da quasi vent’anni, i miei e quelli di molto registi che ammiro», dice Guadagnino. «Con Lorenzo abbiamo prodotto insieme diverse cose ed è un piacere ed un movimento naturale per me lanciarmi in avventure di cinema con lui: ci lega una grande amicizia e una grande empatica stima». A The Apartment Pictures e Frenesy si sono uniti anche Vision Distribution e Giovane Film.


Mieli guardava da tempo con interesse il lavoro di Castellitto: «Già da I predatori Pietro, a mio parere, ha dimostrato di essere uno scrittore e regista con un punto di vista unico, inedito e molto originale nel panorama italiano. Per tono e stile certamente, ma anche e soprattutto per i mondi che ha scelto di raccontare. Ecco, se devo dire cosa mi ha convinto dal primissimo momento a voler produrre Enea la risposta è molto semplice: la sua bellissima sceneggiatura». Conferma Luca Guadagnino: «Pietro mi ha subito incuriosito, mi piace la sua ambizione. E il copione di Enea era pieno di humor e di desiderio di osare».


È proprio Pietro Castellitto a interpretare Enea, un ragazzo che rincorre il mito che porta nel nome insieme all’amico Valentino (Giorgio Guasco Guarascio), in un’incursione nel vortice di una Roma popolata da famiglie problematiche, giovani imprenditori senza scrupoli, trafficanti di droga, discotecari collusi con la mafia e una ragazza bellissima, interpretata da Benedetta Porcaroli. Nel cast Pietro ha voluto anche il fratello Cesare e papà Sergio Castellitto. Il film è anche un ritratto della capitale: «È una Roma ricca, privilegiata e luccicante - in superficie - quella che Pietro ha voluto raccontare. La cosiddetta Roma Bene. E quindi abbiamo girato nei suoi luoghi topici: circoli sportivi, ristoranti e locali di lusso, attici al Centro Storico e ville nei quartieri “alti” della Capitale», dice Mieli. Il film è un affresco, spiega Guadagnino: «I mille dettagli di questo sentimento dell’apocalisse di una generazione sono trascinanti».




FINALMENTE L'ALBA di Saverio Costanzo Raccontato da Mario Gianani (Wildside) e Paolo Del Brocco (Rai Cinema)



Siamo nella Cinecittà degli anni Cinquanta, tra la Dolce Vita e l’eco di tremendi, misteriosi casi di cronaca, come la morte di Wilma Montesi, il cui corpo fu trovato sulla spiaggia di Torvaianica. Nel sogno del cinema, tra grandi scenografie e comparse, in una notte la giovane Mimosa, interpretata dall’esordiente Rebecca Antonaci, da ragazza si trasformerà in donna. Finalmente l’alba di Saverio Costanzo è un film che racconta il cinema stesso, ma anche la perdita d'innocenza di una giovane e forse dell'Italia tutta in quel periodo.


Per Mario Gianani di Wildside è un progetto importantissimo, anche dal punto di vista dell’investimento: non specifica la cifra ma, dice, «per realizzare un film come questo è stato necessario un budget importante». Il direttore della Mostra, Alberto Barbera, ha parlato di un budget attorno ai 28 milioni di euro. «Quella che Costanzo inventa è una storia che contiene il racconto di come si faceva il cinema di allora, ma anche di come veniva visto e partecipato dal pubblico, oltre che di una società profondamente maschilista come quella del dopoguerra e che, culturalmente, in Italia non cessa di essere tale», sottolinea Gianani. «La scomparsa della Montesi e lo scandalo pubblico (il primo che oggi definiremmo “mediatico”) che segue segnano forse la perdita d’innocenza di un’intera società che si scopre più fragile e malata di quanto si volesse far credere. Costanzo ha voluto realizzare questa storia per avere la possibilità, attraverso il cinema, di esercitare un riscatto, di dare ad una giovane ragazza il coraggio e la forza di affermare la propria identità, possibilità che la realtà ha riservato a poche donne e certamente ha negato brutalmente a Wilma Montesi».


«È un film che ricalca, nella sua imponenza e ambizione, il cinema che racconta all'interno della vicenda», dice Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema. «La grandezza, la capacità di creare un immaginario indelebile per milioni di spettatori, la messa in scena della macchina del cinema in una delle sue epoche d'oro richiedono un grande sforzo produttivo e conseguentemente un budget adeguato al progetto. Inoltre, per un film così sontuoso, non poteva mancare un cast di fama internazionale». Oltre a Alba Rohrwacher e Willem Dafoe, compaiono sullo schermo anche star internazionali come Lily James, Joe Keery e Rachel Sennott, suggeriti al regista da Jina Jay, la casting director inglese.


Una produzione impegnativa, con la maggior parte delle riprese realizzate a Cinecittà: «Con le prime due stagioni de L'amica Geniale Costanzo ha dimostrato di poter gestire produzioni complesse e nel film ha messo a frutto questa sua esperienza», commenta Gianani. «Molte delle professionalità artistiche del film lo hanno seguito dalla serialità, con l’eccezione del direttore della fotografia, Sayombhu Mukdeeprom. Qui si è operata una scelta consapevole di discontinuità anche per ricevere uno sguardo esterno sull’epoca. Certamente la ricostruzione del set egizio è stato l’aspetto che ha avuto una fase di preparazione più lunga e complessa. Wildside fa parte del gruppo Fremantle che ha creduto da subito nel film e ci ha permesso di coprire una parte dei costi, fondamentale è stato l’apporto da subito di Rai Cinema e Paolo De Brocco insieme ai quali abbiamo costruito l’intera architettura finanziaria e distributiva della pellicola, che uscirà nelle sale a Natale 2023. L’apporto di Cinecittà è stato altrettanto fondamentale, è parte della compagine produttiva ed ha messo a disposizione tanta professionalità di cui come parte della comunità dell’audiovisivo italiano dobbiamo essere fieri».




IO CAPITANO di Matteo Garrone Raccontato da Matteo Garrone, regista e produttore (Archimede Film), e Paolo Del Brocco (Rai Cinema)


Seydou e Moussa sono due giovanissimi migranti senegalesi nel film Io capitano di Matteo Garrone, un’Odissea contemporanea insieme a chi è senza diritti, nella polvere del deserto, fra le torture dei campi di detenzione in Libia. La sceneggiatura è ispirata a storie vere, scritta con ragazzi africani che davvero hanno compiuto lo stesso viaggio. Per Garrone, che l’ha anche prodotto con Archimede Film, è stata un’esperienza totalizzante, tra Italia e Africa: «Il film è stato girato in Senegal, in Marocco (dove abbiamo ambientato le scene nel deserto e in Libia) e poi al largo delle coste italiane, davanti a Marsala», anticipa. «Sicuramente si è trattato del film produttivamente più complicato nella mia carriera, il primo girato in Paesi che non sono il mio, con scene anche d'azione e in alcuni casi molto rischiose».


L’autore ha fatto da perno a una coproduzione internazionale: «Il budget del film è di 11 milioni, si tratta di una coproduzione tra Italia e Belgio, dove tra l'altro abbiamo realizzato i vfx. Oltre a Rai Cinema e a Joseph Rouschop di Tarantula devo ringraziare Pathé: è la prima volta che sono i distributori internazionali di un mio film, e il loro aiuto - anche economico - è stato fondamentale», dice il regista. Per Rai Cinema è un film cruciale: «È la dimostrazione che il nostro cinema ha ormai assunto un respiro internazionale e una capacità di raccontare storie che, anche se non direttamente legate all'Italia, ci riguardano da vicino come esseri umani», spiega Paolo Del Brocco. «Quella di Io, capitano è una storia universale che riguarda il nostro contemporaneo a livello mondiale. E chi meglio di Matteo Garrone, uno dei registi più importanti del nostro cinema, avrebbe potuto gestire un film così complesso, sia narrativamente che produttivamente?»


Il film uscirà esclusivamente in lingua originale, wolof e francese, con i sottotitoli, «e credo sia la prima volta per un film italiano», afferma Garrone. «È stata una scelta combattuta, anche difficile, ma siamo convinti che sia la strada più giusta per restituire la verità dei nostri personaggi: le loro voci, il loro modo di parlare, sono una parte espressiva irrinunciabile per restituire la loro verità, quindi credo sia una scelta coerente con il film che abbiamo fatto».




LUBO di Giorgio Diritti Raccontato da Giorgio Diritti (Aranciafilm), Fabrizio Donvito (Indiana Production), Paolo Del Brocco (RaiCinema) e Christof Neracher (RSI Radiotelevisione Svizzera SRG/SSR)

Franz Rogowski - foto di Francesca Scorzoni


È poco nota la sconvolgente storia dei 30mila figli di nomadi Jenish che in Svizzera, dagli anni Venti ai Settanta, sono stati sottratti ai genitori dallo Stato per uno scellerato “programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada”. La porta sullo schermo Giorgio Diritti in Lubo, tratto dal romanzo “Il seminatore” di Mario Cavatore (ed. Einaudi), con Franz Rogowski e Valentina Bellé.


«Le vicende di cui racconta il romanzo, e da cui prende liberamente spunto il film, fanno parte di quelle pagine della storia che interrogano sulle discriminazioni, sul senso delle leggi e della giustizia», dice Giorgio Diritti, anche produttore con Aranciafilm. «Ne è nata la convinzione di quanto sia fondamentale tenere vivo il senso di memoria, rendendola attiva secondo un percorso filmico spettacolare. Ciò può portare ad una coscienza comune utile a sviluppare un miglioramento di convivenza tra le popolazioni, tra i cittadini». Aggiunge Fabrizio Donvito di Indiana Production: «È una storia di ricerca della giustizia e contro ogni discriminazione, quindi purtroppo attuale e universale da sempre». Raicinema, dice l’ad Paolo Del Brocco, l’ha visto subito come «un progetto coraggioso in cui coesistono amore, odio, pietà, vendetta e politica. Diritti riesce a far emergere non solo una riflessione sull’etica e sulla dignità umana, ma anche sul ruolo che il singolo individuo può avere nella lotta alle ingiustizie». Dello stesso parere è il produttore elvetico Christof Neracher: «Lubo racconta un importante lato oscuro della storia della Svizzera e, nonostante sia ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, il discorso sul modo in cui le minoranze e gli immigrati sono trattati non poteva essere più rilevante. Per me, come produttore, è della massima importanza confrontarmi con il mondo e affrontare in modo critico il nostro passato, soprattutto al giorno d'oggi. E Giorgio Diritti ha fatto un lavoro straordinario nel trasferire la sofferenza e il dolore di Lubo, interpretato in modo straordinario da Franz Rogowski, in un film emotivamente e formalmente forte, che catturerà il pubblico e lo farà riflettere su questi temi».


Le nove settimane di riprese tra Svizzera e Italia, afferma Donvito, sono state «una vera e propria avventura, che ci ha portato dentro epoche vicine tra loro ma al contempo diverse. La ricerca filologica e l’art direction realizzata da tutti i reparti, scenografia, costumi, trucco e fotografia, è andata nella direzione della veridicità, per cercare di far immergere il pubblico totalmente, dimenticandosi della macchina da presa». Fin dall’inizio è stato chiaro che, per Diritti, era importante girare il film sul posto e non in uno studio, per questo «la ricerca della location è stata fondamentale», sottolinea Neracher. «Giorgio e il suo scenografo, insieme al team svizzero di scenografi e scouting, hanno trascorso molto tempo alla ricerca delle location giuste. L'unica sfida che a volte abbiamo dovuto affrontare è stata la comunicazione, dato che abbiamo girato principalmente nella Svizzera tedesca».


Il film ha coinvolto 24 diverse location, fra città paesini, laghi e montagne, tre regioni italiane e due nazioni. In Svizzera, in particolare, ci sono state due sequenze salienti «girate nel centro di Zurigo, con il fiume e la Fraumünsterkirche, e la piazza principale dell'Abbazia di San Gallo. Entrambe le scene sono molto grandi e hanno coinvolto molte macchine e comparse», racconta Neracher. «E poi abbiamo girato a Bellinzona, e in Alto Adige in varie località della Val Pusteria, come Malga Fane a più di 1500 metri», racconta Diritti. «E ancora a Merano, ad Egna. In Trentino a Rovereto, In Piemonte sul Lago Maggiore, d’Orta, a Domodossola. È stato un lavoro importante di ricerca, di riadattamento, di ricostruzione di luoghi ed epoche differenti. Il meccanismo organizzativo logistico è stato sicuramente molto impegnativo. Il film è stato girato come un viaggio itinerante che ha dovuto equilibrare le esigenze di disponibilità delle location con le specifiche climatiche e stagionali richieste dalla narrazione». Per esempio, dice Neracher, per la parte svizzera è stata impegnativa soprattutto la fase finale della preproduzione, «perché la troupe era già molto impegnata a girare in Italia e la comunicazione era limitata alla mattina presto e alla sera tardi». Una “produzione nomade” insomma, come la definisce Donvito, sulla lunga strada del protagonista: «Le riprese in inverno in montagna sono state sicuramente una sfida, come anche gli spostamenti per esigenze narrative, ma anche una grande soddisfazione professionale, artistica ed umana. Questo è stato lo spirito: una compagnia di girovaghi composta da 80 persone straordinarie».

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